La felicità non è di questo terrà… Ma le Maldive sono un altro mondo.
La differenza è nell’orizzonte: non un alinea, ma un cerchio. La sensazione è questa: sei al centro del nulla e del tutto. Questione di punti di vista. Un punto nell’oceano. Vale solo quello che provi ora. Riflessioni filosofiche, pensieri in libertà, spigolature colte dai diari di viaggio di scrittori, più o meno noti, che hanno subito il fascino delle Maldive.
Difficile descriverle altrimenti. Questo è uno dei possibili luoghi di naufragio, un recapito del dolce far nulla. Un angolo del mondo dove vige la legge del silenzio. Dove il corpo perde peso nell’acqua a favore della mente. La flotta di terre verdi di palma e bianche di sabbia naviga silenziosa, nell’oceano dai riflessi diamante, scivola in ordinata formazione nell’azzurro rarefatto del cielo galleggiando dolcemente sulle onde. Ma senza fretta, perchè non ha mete, neppure un porto da raggiungere. Bizzarre navi… non cercano un approdo, piuttosto lo sfuggono. Sembrano dirette al nord, verso la punta dell’India, oppure ad est, verso Sri Lanka, l’antica Ceylon delle leggende. Ma le navi-isole preferiscono restare lontane dal mondo e dalle sue tentazioni per incrociare perennemente qui, tra le visioni irreali di un universo perfetto nella sua straordinaria semplicità.
Si dice che la felicità non sia di questo mondo ma alle Maldive è veramente tutto un’altro pianeta. Qui la felicità è fatta di una misurata miscela di pochi elementi base. Nessuna mistura complessa, ne coaguli difficili: solo la rassicurante regolarità di giorni, sempre soleggiati e lunghi, rigorosamente dodici ore; cui succedono notti serene.
Il mondo delle origini, che sta intorno, avvolge e coinvolge. Se la terra e i pianeti si sono formati dal caos, se l’universo si è frantumato, raggruppato e poi suddiviso a causa di galattici sconvolgimenti, questa è la pace dopo l’immensa tempesta. Un mondo soft, soffice come la gentilezza degli equipaggi che sulle navi-isole abitano e vivono. Sono 2000 terre piatte e minuscole tante che, se fossero unite, equivarrebbero alla superficie dell’isola di Malta. Affioramenti, dalla vegetazione lussureggiante, disseminato in uno specchi di oceano grande come il nostro Mediterraneo e incastonati lungo un alinea di 650 km. A racchiudere le isole in grandi recinti circolari sono gli anelli del reef, barriere semisommerse che sono le creste di montagne viventi di coralli. Milioni di organismi che si riproducono con la lentezza dei secoli, che si accumulano fino a formare poderose dighe e dolci lagune.
Darwin spiegò che all’inizio ci furono solo terre inesorabilmente colonizzate dai coralli, poi, lentamente, le isole sprofondarono e gli organismi, che non amano gli abissi, risalirono fino alla superficie.
Così il lavoro di milioni di anni ha portato alla formazioni degli atolli corallini. Oltre la barriera del reef è il grande oceano blu, profondo e immenso, ma di qui è acqua bassa e trasparente, che protegge e incanta. Si arriva nell’arcipelago mossi da consuete voglie di esotismo e si riparte ammalati di mare, conquistati dalla purezza della prodigiosa varietà di forme di vita che vivono nell’azzurro.
Le Maldive sono un’avventura cerebrale. Il vecchio Robinson trovò la sua isola per caso e vi dedicò una vita. Oggi, nell’era del tempo da vivere in fretta, anche i paradisi e le felicità temporanee sono a portata di jet. Si arriva con un balzo di quasi 8000 chilometri dall’Italia, gareggiando con il sole e superandolo di 4 ore nella sua corsa nel cielo, per tuffarsi sulle piante dell’oceano Indiano che pare non offro approdi. Poche nuvole rarefatte e poi all’improvviso sulla tavola liquida compaiono gli atolli. Un solo aeroporto, a Malé, la capitale dei maldiviani, popolo gentile, morigerato nei costumi e votato, con rigore, ad Allah. E una città in miniatura, con piccole moschee, piccoli porticati, piccole vie, un piccolo porto.
Malé conta 35.000 abitanti che parlano l’inafferrabile divehi (il dialetto di qui che ha dignità di lingua). Incredibili le migliaia e migliaia di biciclette, nell’evidente rispetto della natura. La struttura della capitale è un’eccezione. I minuscoli agglomerati urbanizzati nelle altre isole sono notevolmente diversi, quasi invisibili. Il rumore del silenzio regna sovrano e la sensazione raggiunge l’apice in barca si solcano i canali tra gli atolli, sfiorando visioni di spiagge bianche (non è sabbia, bensì coralli sminuzzati dal lavoro dell’oceano) superando piccoli paradisi disabitati, incrociando i dhoni i battelli a vela dei pescatori.
La felicità, sia pur temporanea, per chi fugge dalle convulsioni cittadine, la si coglie nei piccoli villaggi di bungalow di legno e paglia, affogati tra le palme.
Articolo di Hafida Benmrhar